Pila o Palazzo: la Porta del Mercato di Torino

 

Al mercato di Porta Palazzo fanno la fila, fanno la fila

le femmine da ragazzo fanno la fila, fanno l’andazzo.

E si lasciano indovinare sotto le gonne, sotto le gonne.

E si lasciano indovinare sotto le gonne, le gonne nere.

G. Testa, Al mercato di Porta Palazzo, 2006

 

Tutte le fonti che ne parlano lo citano come la più grande area mercatile all’aperto d’Europa (51.300 m²). Il mercato di Porta Palazzo, Porta Pila per i torinesi che con i toponimi hanno un rapporto tutto speciale, nacque nel 1835 a seguito delle misure di distanziamento sociale (!!!) imposte da un manifesto vicariale voluto da re Carlo Alberto a causa di una tragica epidemia di colera. Le vecchie bancarelle che si radunavano in quella che allora si chiamava Piazza delle Erbe, di fronte al municipio (Palazzo di Città), furono decentrate al di là delle porte Palatine (già ingresso settentrionale in Torino) in una piazza intitolata a Emanuele Filiberto. La Torino romana (Augusta Taurinorum) era stata compresa nel territorio detto ancor oggi quadrilatero ed era cinta da mura. Il passaggio d’accesso settentrionale si chiamava originariamente Porta Doranea, in onore della Dora Riparia che scorreva nelle adiacenze, e soltanto in epoca longobarda avrebbe preso il nome di Palatina per la sua vicinanza al Palazzo ducale di Agilulfo. Quanto si vede oggi è ciò che resta dopo secoli di interventi architettonici di aggiunte e rimozioni. Il nome del mercato potrebbe essere dovuto sia alla sua vicinanza con la suddetta Porta che con il Palazzo di Città, pure situato a poca distanza. Il soprannome popolare pare derivare invece da un gioco che si faceva nelle piazze con gli antichi dobloni e consisteva nel lanciarli in aria e indovinare su quale faccia della moneta sarebbero atterrati. L’attuale “testa o croce” recitava all’epoca “testa o pila”. Il vasto piazzale su cui oggi si sviluppa il mercato risale agli anni in cui i Savoia rientrarono in città dopo il dominio napoleonico.

 

Piazza della Repubblica (Porta Palazzo) oggi

 

Le mura settentrionali erano state abbattute dal Bonaparte e tra il 1825 e il 1830 furono progettati i nuovi palazzi sullo stile dei preesistenti complessi settecenteschi opera di Juvarra. I lavori furono ultimati nel 1837 e costituirono sia la cornice per il territorio del mercato che il collegamento urbano tra l’antico nucleo fortificato e il proto-industriale borgo del pallone (in piemontese balon, pronunciato balùn) sorto lungo le rive della Dora e dei canali che fornivano l’energia motrice per mulini, concerie e officine. Lungo le mura abbattute sorse l’attuale corso Regina (Margherita) che attraversa longitudinalmente l’intera piazza del mercato. Secondo un’abitudine molto diffusa in città, cognomi e secondi nomi vengono accantonati in favore di una maggior familiarità con il toponimo (piazza Vittorio [Veneto], corso Vittorio [Emanuele II], piazza Madama [Cristina], corso Duca [degli Abruzzi], corso Massimo [d’Azeglio], piazza Carlina [Carlo Emanuele] ecc.).


 

Porta Palazzo d’epoca

 

Già dalla metà del Settecento sotto la piazza erano stati collocati grandi locali per la raccolta del ghiaccio, a cui si accedeva con carretti. Il ghiaccio proveniva dalla raccolta delle nevi nei campi circostanti, ma, in caso di inverni particolarmente miti, si ricorreva addirittura al ghiacciaio del Moncenisio. I primi interventi edilizi relativi al mercato videro la costruzione di strutture addette al macello che oggi ospitano i settori ittico (al momento in cui scrivo chiuso per provvedimenti di riqualificazione) e alimentare.

 

Porta Palazzo … per vederla in tutta la sua bellezza bisogna capitarvi una mattina di sabato, d’inverno, in pieno mercato… passano delle signorine eleganti, dei grossi borghesi buongustai, dei cuochi tronfi e sprezzanti, delle cameriere padrone, dei curiosi allegri, una folla continuamente cangiante.

E. de Amicis, Torino, 1880

 

Al 1889 risale, a ridosso della piazza, la Galleria Umberto I nota anche come Galleria del Mauriziano visto che l’edificio in cui sorge era stato adibito, tra il 1575 e il 1884, a ospedale gestito dai Cavalieri dell’omonimo ordine. In seguito al suo trasferimento per ragioni di igiene in zona periferica venne edificata la galleria commerciale che mantiene intatte atmosfere e stile d’epoca in cui si combinano l’eleganza della struttura (la pianta a croce è modellata sulle tracce delle antiche corsie ospedaliere) e la realtà mercatile in cui è immersa.


 

Un braccio della Galleria Umberto I

 

Il 1916 avrebbe portato invece la costruzione dell’elegante Tettoia dell’orologio, in ferro e vetro come l’epoca comandava.

 

Si evita il ferro nelle case di abitazione, e lo si impiega nei passages, nei padiglioni delle esposizioni, nelle stazioni ferroviarie – che sono tutte costruzioni a scopi di transito. Nello stesso tempo si estende il campo di applicazione architettonica del vetro.

W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo.

 

La tettoia dell’orologio circondata di bancarelle

 

Fino al secondo dopoguerra le bancarelle erano state gestite dai contadini delle valli piemontesi. Tra gli illustri personaggi che hanno fatto la storia di Porta Palazzo c’è anche un mio concittadino, Francesco Cirio (nato a Nizza Monferrato nel 1836), fondatore dell’omonima ditta che proprio nel borgo Dora diede inizio alla propria fortuna. Dopo avere venduto, ancora giovanissimo, di casa in casa nella periferia torinese le verdure acquistate sotto costo alla chiusura del mercato la sera precedente, ideò un sistema di conservazione delle stesse in barattoli di vetro per preservarne la freschezza e renderne possibile l’esportazione. Iniziò coi piselli e poi proseguì come la storia insegna, trasferendo a Napoli l’azienda e diventando il re dei pomodori pelati.

 

La lapide dedicata a Francesco Cirio a Torino, Porta Palazzo


Un omaggio dalla cromaticità patriottica a Francesco Cirio

 

Dopo la Seconda guerra il nome del piazzale mutò in Piazza della Repubblica, ma per tutti restò Porta Palazzo e così continua anche oggi.

 

 

Uno scorcio del mercato sullo sfondo degli edifici che delimitano la piazza

 

Gli anni Cinquanta e Sessanta portarono la grande immigrazione dal sud e dalle isole: la FIAT richiamava mano d’opera da tutta Italia e anche il mercato risentì di quel fenomeno. Torino scoprì cibi, profumi e sapori fino a quel tempo sconosciuti, ma non furono soltanto rose e fiori. L’atteggiamento nei confronti degli immigrati non fu certo impeccabile. Tristemente noti erano stati i cartelli: “non si affitta ai meridionali” e l’ostracismo nei confronti dei napule, i “terroni” arrivati col treno del sole che dormivano addirittura a turno nello stesso letto vista la mancanza di abitazioni disponibili. L’intera zona di Porta Palazzo in quegli anni non godeva di buona fama: il degrado del centro storico torinese era assoluto e le vie che oggi ospitano la più scatenata movida erano frequentate da una fauna legata alla malavita spicciola mentre i sontuosi palazzi sei-settecenteschi cadevano in rovina. I pesanti bombardamenti alleati avevano compiuto stragi di persone ed edifici e nessuno era ancora intervenuto a rimuovere le macerie. Torino era stata la città più bombardata d’Italia: il triste primato, acquisito tra il 1940 e il 1945, lo dovette alla presenza della Fiat e delle numerose fabbriche, primo bersaglio nelle strategie alleate.

 

Torino bombardata, 7 luglio 1943

 

I torinesi abbienti dopo la guerra si erano rifugiati in collina e il centro storico era rimasto in balia del degrado: ratti, umidità, malavita. A questo si aggiunsero anche i problemi causati dall’immigrazione massiccia, dalle difficoltà di integrazione e dai problemi di sicurezza a essa legate. Sarebbero stati gli interventi del sindaco Novelli (1975-1985) a portare i primi positivi cambiamenti su quel territorio. Castellani li avrebbe ripresi (1993-2001) e le olimpiadi del 2006 avrebbero definitivamente cambiato il volto del quadrilatero torinese: ristrutturazioni, pulizie, riqualificazioni e, ahimè, inevitabile gentrificazione. Percepibile anche sul territorio del Mercato. Testimonianza primaria può essere l’epopea del cosiddetto Palafuksas, progetto affidato all’archistar Massimiliano Fuksas da erigere al posto della pur orribile costruzione provvisoria per il mercato dell’abbigliamento, imposta alla piazza nel 1963 quando fu abbattuta la fatiscente struttura primigenia, e demolita nel 1997. Tre anni di tensioni e scontri portarono l’architetto a disconoscere l’edificio che soltanto nel 2011 venne inaugurato col nome di Centro Palatino, 32.000 m² di spazi espositivi, ristoranti e negozi.


 

L’anonimo fabbricato del Centro Palatino, già Palafuksas

 

Resistono e sono attivamente operanti l’elegante tettoia liberty sotto cui si svolge il mercato dei prodotti casalinghi e quella che protegge i banchi dei contadini.


 

La tettoia dei casalinghi


 

Sotto la tettoia liberty al mercato dei contadini

 

Il 2019 assistette a ulteriori interventi di restyling sulla piazza che videro nascere l’attuale Mercato Centrale di Torino, hub enogastronomico “su tre piani con 28 botteghe degli artigiani, aule didattiche, laboratori e uno Spazio Fare dedicato agli eventi”. Al suo interno, in netto contrasto con lo spirito e l’atmosfera che si respira al di fuori, rutilanti postazioni di ristoro, spazi per workshop, tapis roulant e pretenziosi banchi di bar incombono sulle antiche ghiacciaie di secolare memoria, fortunatamente preservate anche se oppresse dalla patinata realtà circostante.


 

Il Mercato Centrale Torino


L’antica ghiacciaia inglobata nella realtà contemporanea del Mercato Centrale

 

Nonostante gli svariati investimenti, e malgrado i moniti invitanti ad apprezzare e valutare le differenze tra le culture che adornano la facciata della Tettoia dell’orologio, nuove difficoltà di integrazione sono insorte in zona.


Le scritte al neon in tante lingue che invitano ad “amare le differenze”

 

Da anni, più recenti immigrazioni hanno preso il posto di quelle degli anni Sessanta e nord africani, eritrei, iracheni, siriani, cinesi, rumeni e nigeriani si sono aggiunti ai “terroni” nel rendere multietniche le bancarelle e a colmare di inediti accenti gli imbonimenti rivolti ai torinesi che, fianco a fianco con le nuove etnie, continuano ad affollare il mercato e i negozi di prodotti stranieri che sono sorti nelle adiacenze.

 



Fruttivendoli multietnici

 

Macelleria halal

 

I problemi esistono, degrado abitativo, disoccupazione, spaccio, povertà non sono stati debellati mentre alcune zone circostanti vedono interventi di “riqualificazione” che, come in ogni parte del mondo (problema ricorrente nelle pagine di questo blog), combinano l’obiettiva positività dell’operazione di risanamento immobiliare all’apparentemente inevitabile e funesto rivolgimento etnico-sociale che fa piazza pulita degli inquilini primigeni a favore di nuovi residenti più abbienti e “raccomandabili”.


 

Edificio risanato alle spalle del mercato

 

In parallelo nascono laboratori di progetti sociali che investono nella multiculturalità: si organizzano passeggiate migrantour per favorire l’incontro tra cittadini di diversa provenienza e far conoscere questa parte della città attraverso sguardi non convenzionali.

Tra le bancarelle che offrono prodotti etnici accanto a frutta e verdura italiana tutti si impegnano a far sì che borsaioli o disturbatori stiano alla larga. E nei fine settimana, nelle strade acciottolate dell’adiacente borgo Dora, si scatena il Balon, il mercato dei robivecchi: dall’antiquariato alle chincaglierie, inframmezzate dai lenzuoli degli abusivi che offrono ogni sorta di mercanzia.

 

Voltandosi ogni tanto per tener d’occhio la porta del caffè, Lello cercò di interessarsi a quella distesa di macerie. Da un’esposizione di acciaccate e corrose stoviglie metalliche, passò a una mostra di bicchieri e terrecotte incrinate; traversò un rugginoso campo di ingranaggi e cuscinetti a sfere, consunti utensili da fabbro e da falegname, serrature, mazzi di vecchie chiavi; si addentrò tra cataste di materiale idraulico e sanitario; inciampò in un'annata della rivista «Il Foro Italiano», scivolata da una cassa che traboccava di altre annate della stessa pubblicazione e dell’«Annuario Critico di Giurisprudenza Pratica» dal 1891 al 1913.

C. Fruttero, F. Lucentini, La donna della domenica, 1972.

 

Gipo Farassino, poeta-cantautore torinese di non trascurabile spessore, passato alla Lega Nord dopo una giovinezza corroborata da ben altre idee, nella sua Porta Pila (1967), traduzione in torinese di La Bohème di Charles Aznavour, idealizzava una nostalgica visione, più mitologica che storica come in quasi tutte le struggenti rivisitazioni poetiche del passato, del quartiere in cui era nato e che aveva visto radicalmente alterarsi. La Montmartre parigina si trasformava nella Porta Palazzo torinese.

 

Cò ij so mërcà quatà:

Porta Pila a smija mòrta

e mì canto magonà:

Porta Pila, Porta Pila,

la gioventù sensa sagrin.

Porta Pila, Porta Pila,

adess lìè mach p’ ‘n seugn lontan[1]

 

Nonostante alcune riserve che già ho espresso non mi sento di condividere l’atteggiamento di irriducibile rimpianto (peraltro mutuato da Aznavour) del cantautore piemontese, che già parecchi decenni fa esprimeva il proprio rammarico per la fine di un’epoca, l’epoca della sua gioventù. Un giro al mercato riporterà un pur cauto ottimismo grazie alla vitalità ancora esistente, rinnovata e operante nella sua più autentica quotidianità. La molteplicità di bancarelle, l’abbondanza e la freschezza dei prodotti, i prezzi super concorrenziali e i rapporti di fiducia (talora amicizia) che si sviluppano tra acquirenti e venditori testimonieranno della vivacità del territorio e delle attività che vi si svolgono. La folla costantemente presente in ogni stagione e con qualsiasi tempo è la più attendibile dimostrazione del bisogno che la città ancora ha del suo mercato e del piacere di frequentarlo, con tutte le contraddizioni e i problemi che la storia continua a far nascere, ma anche con le sue prospettive di innovazione, integrazione e ibridazione tra le culture. Ancora una volta il cibo, la sua condivisione e preparazione potrebbero rivelarsi veicolo prezioso di dialogo e scambio.

 

 

Le fotografie, salvo diversa indicazione, sono mie:

 

Porta Palazzo d’epoca: http://www.mepiemont.net/foto_stor/luoghi/luoghi_vis.asp?foto=pag1/via-milano-pp.jpg

Torino bombardata, 7 luglio 1943: https://br.pinterest.com/pin/679621399998719646/?send=true

 

Non una canzone, ma il link a una presentazione delle visite guidate dagli emigrati stranieri: http://www.aldopavan.it/noimigranti/Porta_palazzo.htm

 

Visitato il 24 settembre 2022

 

La ricetta che abbino a Porta Palazzo e al suo mercato è un super classico piemontese: il carpione. Come ogni preparazione regionale non ne esiste una versione DOC. Ogni famiglia del vecchio Piemonte, e all’interno di ogni famiglia ogni cuciniera, promuoveva la propria variante, imparata dalla nonna, dalla mamma o da qualche zia e la portava con sé lasciando la casa paterna per stabilirsi, spesso vessata da una suocera arcigna, nella nuova residenza col marito. Come nel caso del saor veneto o della scapece campana, dell’escabeche spagnolo o del ceviche dell’America latina, lo scopo primario era di conservare, grazie al sale, agli agrumi e all’aceto, i cibi il più a lungo possibile o, nel caso del Piemonte, togliere ai pesci di fiume il retro gusto di nita (fango). È un piatto estivo che si mangia freddo; un classico delle merende sinoire (merende che sconfinano nella cena) in campagna, sotto una topia (pergolato) da accompagnare con un vino bianco, leggero e non troppo profumato. Indispensabile che il pane per accompagnarlo sia abbondante, casereccio e non industriale. Questa è la ricetta che la mia nonna paterna e mia madre hanno condiviso per decenni e che ora è diventata mia. Non prevede l’uso di cipolla; non è una dimenticanza.

 

Zucchine con carni, uova e pesce in carpione

 

Ingredienti per due persone: 200 gr. di filetti di carpa o tinca o tranci di anguilla (ammessa è anche la trota); 100 gr. di fettine di petto di pollo impanate; 100 gr. di fettine di vitello impanate; una decina di polpettine di vitello; 2 uova (+ 1 per impanare); 6 zucchine tagliate a rondelle o a bastoncini; un mazzetto di salvia (abbondante); 3 spicchi d’aglio; 1 bicchiere di aceto di vino rosso (la dose di salvia, aglio e aceto può variare a seconda dei gusti; quella suggerita da me non fa sconti ai palati delicati); pangrattato, farina, olio, burro, sale e pepe q.b.

 

Impanare il pollo e il vitello passandoli prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e in ultimo nel pangrattato. Friggerli in olio e burro, salare e pepare e metterli da parte. Cuocere il pesce evitando che si sbricioli, aggiustare di sale e pepe e mettere da parte. Cuocere le polpettine, salare, pepare e tenere da parte. Friggere le zucchine finché saranno ben dorate ma non spappolate. All’ultimo momento aggiungere le uova sbattute e far rapprendere velocemente strapazzandole assieme alle verdure. Chi preferisse può friggere le uova al tegamino, separatamente dalle zucchine. Aggiustare di sale e pepe. In un piatto da portata con bordi alti (ideale una pirofila) sistemare le carni e il pesce. Coprire uniformemente con le zucchine alle uova strapazzate.  Versare abbondante olio in una padella e far riscaldare. Friggervi, facendo estrema attenzione a non lasciar bruciare, il trito di salvia e aglio. Pochi minuti saranno sufficienti. Alzare la fiamma, sfumare con l’aceto e far evaporare. Aggiustare di sale e versare la salsa ancora calda su carni, pesce e zucchine. Coprire con pellicola trasparente e lasciar marinare il composto in frigorifero per almeno una notte. Servire a temperatura ambiente.

 


Carpione misto piemontese



[1] Con i suoi mercati coperti / Porta Pila sembra morta / e io canto col magone: Porta Pila, Porta Pila, / la gioventù senza dispiaceri, Porta Pila, Porta Pila, / adesso non è altro che un sogno lontano. https://www.youtube.com/watch?v=WXsYxmnqUPw

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