Nomadismo gastronomico russo-sovietico

 

Un’esperienza di cibo di strada a cui sono rimasto profondamente legato è quella che risale ai miei anni di regolare frequentazione dell’Unione Sovietica, Settanta e Ottanta in particolare. Quando, nel 1986, diedi alle stampe una pionieristica guida turistica di Mosca e Leningrado (all’epoca i viaggi individuali erano fortemente scoraggiati e non era per niente facile staccarsi dal gruppo se si partecipava a una spedizione collettiva) dedicai un capitolo a ciò che definii “nomadismo gastronomico russo”. Tanto forte fu l’impressione suscitata dalle varie forme di ristorazione ambulante a cui i cittadini facevano costante ricorso e alla quale anche noi studenti stranieri ci saremmo prontamente adeguati. L’accesso a caffè e ristoranti era subordinato a lunghe attese per essere ammessi, talora non coronate da successo. I costi erano considerevoli per parte della popolazione, la reputazione dei locali non impeccabile, il tempo scarseggiava sempre e allora si ricorreva a forme alternative di ristorazione e acquisto: le bancarelle impreviste e imprevedibili che spuntavano qua e là sulle strade e i chioschi più o meno stanziali. Erano gestite quasi esclusivamente da donne che, in ogni stagione dell’anno, sotto bufere di neve invernali o implacabili raggi di sole estivo colmavano le strade delle città con carrelli, banchetti, botticelle, svariati contenitori trainati su rotelle per allestire, tutto rigorosamente sotto il controllo statale, punti di smercio di bibite, cibi caldi, gelati, prodotti alimentari e no. Con grande stupore degli stranieri, anche quando le temperature erano di parecchio sotto lo zero e magari una tormenta nevosa riempiva l’aria di fiocchi, al comparire della babuška di turno con la sua mercanzia si formava immediatamente una coda che, velocissima, veniva smaltita dalla venditrice fino all’esaurimento dei prodotti. Persino quando si trattava di gelati, consumati con sommo gusto addirittura nei giorni di gelo, il formarsi della coda era subitaneo e colpiva noi indolenti figli del capitalismo per la rapidità con cui il pubblico sovietico aveva imparato a percepire la presenza di merce e a cui reagiva senza indugio prendendo prontamente posto nella fila e, solo successivamente, documentandosi su quale fosse il prodotto che, come si diceva in gergo, vybrosili (avevano messo in vendita, letteralmente “buttato via”), per sottolineare la scarsa o fallimentare strategia commerciale degli approvvigionamenti di stato.


 

Venditrici ambulanti nell’inverno sovietico

 

Le donnone, in inverno infagottate in cappotti, giacconi e scialli di lana sopra i quali immancabilmente indossavano il regolamentare camice bianco, o per lo meno un grembiule che bianco era stato e in aggiunta corredato da manicotti della stessa tinta, colbacco o sciarpa di lana in capo (mai un ombrello!), raggiungevano l’angolo di strada opportuno, l’ingresso di una metropolitana, i cancelli di un parco e, tra invettive e lamentele, più raramente con sorrisi e gentilezza, estraevano dai contenitori termici pirožki (frittelle ripiene) o stakančiki (bicchieri) di gelato, inforcando i primi con un forchettone nella profondità del recipiente (talora un semplice pentolone) e porgendoli, fragranti e bollenti,  all’acquirente su un quadratino di carta oleata o disponendo in bella vista i secondi sul ripiano del vagoncino.

 

Venditrici di gelati nella Mosca sovietica


La leggenda, che posso confermare essendone stato fruitore e testimone oculare, annovera i gelati sovietici tra i migliori del mondo. In effetti il sapore di panna e latte era strepitoso. Meno entusiastici erano i commenti relativi alle frittelle, ripiene a seconda dei casi, di carne, cavoli, liver (frattaglie), funghi o marmellata. Una famosa barzelletta si interrogava su quale fosse stata la natura della carne contenuta nel ripieno: “Prima abbaiava o miagolava?” Nonostante tutto, un pirožok, ancora bello caldo per quanto bisunto e con la pasta ormai ammosciata dopo la remota frittura, era di notevole conforto nell’intenso freddo di un vero inverno russo.

 

Una venditrice sovietica di pirožki

 

La sgarbatezza della maggior parte delle addette ai lavori era di rigore e non si differenziava da quella delle colleghe che prestavano servizio nei negozi. Le contumelie riguardavano sempre le stesse questioni, con l’eccezione di qualche grave caso di skandal (scenataccia) motivato da contrasti più seri, e facevano parte della sceneggiatura quotidiana per le persone che affrontavano la spinosa questione dei rifornimenti alimentari per nutrire una famiglia e di chi, con maggior leggerezza, si accontentava di uno spuntino o di un acquisto voluttuario. “Vas mnogo, ja odna!” (Voi siete in tanti, io sono sola) era un classico che risuonava sistematicamente quando qualcuno dalla coda sollecitava la venditrice a essere più veloce e a non distrarsi.


 


Vignetta satirica che illustrava l’atteggiamento non esattamente amichevole delle venditrici (e dei loro strumenti di lavoro) nei confronti della timida (?!) vecchietta acquirente. Sulla bilancia, la scritta sgrammaticata e arrogante: “cosa serve?” Infilzato al muro con un coltello il “libro delle lamentele e delle proposte”, arma a disposizione dei clienti presente in ogni istituzione pubblica per raccogliere rimostranze e suggerimenti relativi al (dis)servizio.

 

Il lavoro era obiettivamente ingrato: in piedi sulla pubblica via, con ogni condizione atmosferica, talora dovendo portare al collo il contenitore dei prodotti venduti, ad accontentare torme di compratori insoddisfatti, innervositi e costantemente di fretta. Meno tensione riguardava situazioni privilegiate: vendere gelati in un parco, a teatro, al coperto o in circostanze di festa meno marcate dall’ordinaria quotidiana frenesia.

 

Una venditrice di gelati del 1959 (era chruščëviana). Notare le pinze con cui porgeva l’alimento, il denaro nell’altra mano, il grembiule nero con collettino bianco ricamato e, addirittura, la crestina sui capelli.

 

Prima che entrassero in uso i distributori automatici di acqua gassata, sempre in sostituzione o alternativa alla scarsità di bar e caffè, anche succhi di frutta e acqua erano venduti da postazioni ambulanti. Negli anni in cui ho frequentato il paese erano ancora in funzione le macchine automatiche, ma non più i banchetti di acqua.

 

Una fila di distributori automatici di acqua gassata. Si inseriva una moneta (1 copeco) e, l’unico bicchiere a disposizione, che poteva essere sommariamente lavato tra un cliente e l’altro, si riempiva di un getto di acqua. Per tre copechi la bevanda poteva essere arricchita con uno spruzzo di sciroppo di frutta.

 

Un film del 1939, Podkidyš (Il trovatello) interpretato dalla straordinaria caratterista Faina Ranevskaja, è diventato di culto anche per un’esilarante scena in cui la protagonista beve diversi bicchieri di acqua sciroppata a un banchetto ambulante e questiona con il venditore per l’eccesso di schiuma nel bicchiere.

 

Faina Ranevskaja alle prese con l’acqua sciroppata nel film Podkidyš, 1939.

https://www.youtube.com/watch?v=bK2lrOhFCTo&t=243s

 

Degne di menzione speciale sono le botticelle di kvas, bibita estiva ottenuta dalla fermentazione del pane nero, in epoca sovietica trainate da autocarri fino al punto di operatività e ritirate a fine turno con lo stesso sistema. Ancora una volta a gestire le operazioni erano donne, dipendenti di un determinato negozio e distaccate presso la postazione ambulante, sedute a spillare la bevanda in boccali di diverse dimensioni (e relativo prezzo) sempre molto approssimativamente ripuliti tra un utilizzo e l’altro. C’era anche chi si portava da casa un contenitore, l’usa e getta non esisteva proprio, e lo faceva riempire per l’asporto.

 

Una venditrice di kvas accanto alla sua botticella

 

Esistevano molte altre forme di fast food sovietico, ma già implicavano il ricorso a negozi o strutture chiuse e non afferivano alla categoria “cibo di strada” in purezza. Un’ultima considerazione la dedico ai chioschi, forma ibrida tra il commercio itinerante e quello stanziale. Una via di mezzo tra il negozio e la postazione all’aria aperta sulla pubblica via. La maggior parte dei chioschi erano edicole di giornali (sojuzpečat’) in cui oltre alla stampa sovietica si trovavano anche articoli di cancelleria, cartoline (pure in confezioni da collezione), calendari e, talora pubblicazioni sui più disparati argomenti di interesse non disprezzabile.

 

Un chiosco Sojuzpečat’ (stampa sovietica), Mosca 1975

 

Sul fronte alimentare c’erano chioschi per la birra, per i gelati, per i già citati pirožki e altri classici cibi da strada sovietici, čebureki e beljaši, (fagottini di pasta ripieni), pončiki (krapfen), pyški (a Leningrado, specie di doughnuts). Il 31 gennaio a Mosca 1990 aprì con furore il primo McDonald’s in terra sovietica e la storia del cibo da strada iniziò a cambiare.

 

Le prime mostruose code per un hamburger a Mosca, 1990

 

Nei primi caotici anni Novanta, immediatamente successivi al crollo dell’impero sovietico, baracchini e gazebi fiorirono indiscriminatamente sfruttando il caos anarchico seguito al cambio di regime. Sorsero ovunque offrendo ogni possibile articolo, quasi sempre contraffatto, che si trattasse di vodka, cibo, capi d’abbigliamento o altro. In parallelo, tristemente, fecero la loro comparsa babuški non più in servizio statale ma spinte dalla necessità di incrementare la misera pensione (inadeguata, quando ancora corrisposta, alle nuove condizioni economiche) che mettevano in vendita quanto di prezioso avevano in casa (talora anche un solo cucchiaino d’argento) o conserve alimentari, fiori, verdure dell’orto, libri. Non poche, negli anni successivi, sarebbero finite sfruttate nelle maglie di associazioni mafiose.

 

Venditrici di prodotti alimentari sulle scale della metropolitana

 

Le fotografie sono tratte da:

Venditrici ambulanti nell’inverno sovietico:

https://dailymoscow.ru/novosibirsk/20301-pismo-dedu-morozu

Venditrici di gelati nella Mosca sovietica: https://m.facebook.com/sovdepia.ru/photos/a.948501805173921/3730610916962982/?type=3&_rdr

Una venditrice sovietica di pirožki:

https://ucrazy.ru/foto/1648172961-byloe.html?yrwinfo=1648260564149374-12321931493374700751-man1-2841-9d4-man-l7-balancer-8080-BAL-5441

Vignetta satirica: https://zen.yandex.ru/media/id/5f301c8315c566771593157c/vas-razdrajaiut-kuriascie-devushki-kak-ia-otvadil-studentok-kurit-u-menia-pod-oknami-5f735aa128bb441afd09f260

Una venditrice di gelati del 1959:

http://reactor.cc/tag/%D1%84%D0%BE%D1%82%D0%BE%D0%B3%D1%80%D0%B0%D1%84%D0%B8%D1%8F/new/2051 (Fotografia del reporter americano Harrison Forman)

Una fila di distributori automatici: https://iohotnik.ru/novosti/100223-sssr-2-ne-budet.html#gallery-2

Una venditrice di kvas: https://cdn.fishki.net/upload/post/2017/10/26/2414384/36-1.jpg

Un chiosco Sojuzpečat’: https://www.gazetaeao.ru/chto-my-chitali/

Le prime mostruose code: https://www.9111.ru/questions/7777777771808720/#image

Venditrici di prodotti alimentari sulle scale della metropolitana: https://andy-pix.livejournal.com/67476.html

 

Dopo aver tanto parlato dei pirožki sovietici ecco una ricetta per chi volesse cimentarsi nella loro preparazione. Ogni famiglia ha una propria variante; non esiste LA ricetta DOC. Così come i ripieni possono essere variati all’infinito a seconda dei gusti e delle materie prime disponibili. La preparazione richiede tempo, per la lievitazione della pasta, ma il risultato finale premierà la pazienza. Possono anche essere cotti in forno, ma, come in tutto il mondo, se fritti varranno il doppio!

 

Ingredienti per una decina di pezzi

Per la pasta:

Farina 600 gr., acqua di bollitura delle patate 400 ml., 1 uovo, lievito di birra fresco 10 gr. (5 gr. se secco), olio di semi 50 ml., sale q.b.

Per il ripieno:

Patate 800 gr., 1 cipolla, sale e pepe q.b.

 

Abbondante olio di semi per friggere

 

Cuocere le patate e conservare l’acqua di cottura. Una volta intiepidita sciogliervi il lievito, aggiungere l’uovo e mescolare. Unire gradualmente la farina sempre mescolando, poi l’olio e il sale. Ricavare un impasto molto morbido. Ungerne la superficie e mettere in una ciotola coperta a lievitare per un paio d’ore. Ridurre le patate lesse a purè, friggere la cipolla tagliata finemente e aggiungerla alle patate. Aggiustare di sale e pepe. Stendere la pasta lievitata e ricavarne 9-10 piccole sfere. Coprirle perché non asciughino e lasciarle lievitare per altri 15 minuti. Stendere la pasta delle sfere in forma rotonda. Farcire con un paio di cucchiai di ripieno e chiudere la pasta per ottenere un fagottino con i bordi ben sigillati. Appiattirli e allungarli leggermente e delicatamente. Friggerli in abbondante olio bollente fino a che saranno ben dorati e croccanti. Servire caldissimi.

 


Alla Pugačëva, Million alych roz (Un milione di rose scarlatte), 1983.

Tra le canzoni pop di maggiore successo della Russia sovietica. La cantante era idolatrata. Una barzelletta dell’epoca recitava: “Alla voce Brežnev della Grande Enciclopedia Sovietica: ‘Politico di basso calibro dell’epoca di Alla Pugačëva’”: https://www.youtube.com/watch?v=tXfQxidhVEg

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