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  Le merende d’infanzia in spiaggia   Quando ero bambino (fine anni Cinquanta-primi Sessanta) passavo le vacanze al mare a Varazze, sulla riviera ligure di ponente. Nel pomeriggio sulla battigia passavano diversi venditori. I vucumprà ancora non erano comparsi all’orizzonte e gli ambulanti si concentravano in tre categorie, due alimentari e una no. La più suggestiva, nel mio ricordo infantile, era quella dei venditori di Krapfen. Vestivano maglietta e pantaloncini corti bianchi su cui portavano un altrettanto corto grembiule, berretto pure immacolato, erano a piedi nudi e reggevano a tracolla un contenitore in stile sigaraia colmo di olezzanti frittelle coperte da un foglio di cellophane che le manteneva calde. Sudavano sette camicie, poveretti, procedendo tra uno stabilimento balneare e l’altro, con il proprio carico bollente sotto il sole estivo. Il loro grido arrivava prima ancora che se ne scorgesse la sagoma: “Krapfen, krapfen caldi, krapfen!”, che alle mie orecchie suonava:
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  La belecauda   Per soffermarmi su un pionieristico produttore e venditore di cibo da strada prendo le mosse dal mio paese natio: Nizza Monferrato, in provincia di Asti (Piemonte). Uno dei piatti più amati nella cittadina è la farinata. La primogenitura spetta alla Liguria, ma, assieme al famoso “salto dell’acciuga”, lungo i sentieri che costituirono la cosiddetta “via del sale” tra Limone Piemonte e Ventimiglia (ancora sono percorribili), nella mia regione arrivò anche questa deliziosa torta di ceci. I marinai liguri incontravano i contadini piemontesi e dal commercio di sale e di acciughe, scambiate con prodotti agricoli e carni, ebbe origine il piatto piemontese più famoso nel mondo: la bagna caoda . La farinata si chiama cecina in Toscana, torta a Livorno (da mangiare nel panino 5e5), socca sulla Costa Azzurra, panelle in Sicilia (dove pure si consuma col pane), fainò a Carloforte, colonia ligure in terra sarda. Il nome con cui è nota a Nizza Monferrato è dovuto al suo pi
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Roberto Smaldore Le mille contraddizioni della Bosnia . L’ Autopijaca di Sarajevo Il turista occidentale che visita Sarajevo rimane solitamente colpito dal fatto che i muri di molti edifici conservino ancora i segni dell’assedio attorno al quale la città fu cinta per quasi quattro anni consecutivi. Dopo quasi trent’anni dalla fine della guerra, l’impressione è che del connubio di architettura ottomana, austro-ungarica e jugoslava che ha caratterizzato questo crocevia dei Balcani occidentali, ad oggi non sia rimasto nient’altro che un cumulo di rovine. La città ha subito uno sviluppo contraddittorio nelle ultime due decadi ed è proprio la parola “contraddizione” che permette di carpire al meglio la realtà attuale di Sarajevo, capitale dell’altrettanto contraddittoria Bosnia-Erzegovina. La Bosnia rappresenta un’eccezione in Europa per il suo assetto istituzionale: un complicato sistema di pesi e contrappesi partorito dall’ingegneria diplomatica occidentale nel 1995 pose fine alle os
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  Pila o Palazzo: la Porta del Mercato di Torino   Al mercato di Porta Palazzo fanno la fila, fanno la fila le femmine da ragazzo fanno la fila, fanno l’andazzo. E si lasciano indovinare sotto le gonne, sotto le gonne. E si lasciano indovinare sotto le gonne, le gonne nere. G. Testa, Al mercato di Porta Palazzo , 2006   Tutte le fonti che ne parlano lo citano come la più grande area mercatile all’aperto d’Europa (51.300 m²). Il mercato di Porta Palazzo, Porta Pila per i torinesi che con i toponimi hanno un rapporto tutto speciale, nacque nel 1835 a seguito delle misure di distanziamento sociale (!!!) imposte da un manifesto vicariale voluto da re Carlo Alberto a causa di una tragica epidemia di colera. Le vecchie bancarelle che si radunavano in quella che allora si chiamava Piazza delle Erbe, di fronte al municipio (Palazzo di Città), furono decentrate al di là delle porte Palatine (già ingresso settentrionale in Torino) in una piazza intitolata a Emanuele Filiberto. La