La belecauda

 

Per soffermarmi su un pionieristico produttore e venditore di cibo da strada prendo le mosse dal mio paese natio: Nizza Monferrato, in provincia di Asti (Piemonte). Uno dei piatti più amati nella cittadina è la farinata. La primogenitura spetta alla Liguria, ma, assieme al famoso “salto dell’acciuga”, lungo i sentieri che costituirono la cosiddetta “via del sale” tra Limone Piemonte e Ventimiglia (ancora sono percorribili), nella mia regione arrivò anche questa deliziosa torta di ceci. I marinai liguri incontravano i contadini piemontesi e dal commercio di sale e di acciughe, scambiate con prodotti agricoli e carni, ebbe origine il piatto piemontese più famoso nel mondo: la bagna caoda. La farinata si chiama cecina in Toscana, torta a Livorno (da mangiare nel panino 5e5), socca sulla Costa Azzurra, panelle in Sicilia (dove pure si consuma col pane), fainò a Carloforte, colonia ligure in terra sarda. Il nome con cui è nota a Nizza Monferrato è dovuto al suo più illustre produttore, Giuseppe Barbero (per tutti Tantì), che, autentico Maestro del nomadismo gastronomico, fin dagli anni Venti girò per il paese sul suo triciclo reggendo tra le ruote anteriori una teglia di farinata protetta da una cupola con tanto di sfiatatoio che ne manteneva il calore e la giusta morbidezza. Agli squilli della sua trombetta aggiungeva il grido di “bel e caoda!” (in dialetto: bell’e calda – appena sfornata) per attirare grandi e piccini all’assaggio della sua specialità servita a fette su gialla carta da macellaio. Per metonimia i nicesi doc ancora oggi chiamano “belecauda” la farinata. All’atto dell’acquisto era scontato perpetuare il cerimoniale e porre la richiesta che generazioni di bambini e ragazzi avevano tramandato: “Tantì, la gionta!” (Tantì, l’aggiunta), vale a dire richiedere un supplemento di porzione, minuscola fettina sicuramente compresa nella dose legittima, che la strategia commerciale dell’ideatore aveva elaborato per rendere più rituale e soddisfacente l’acquisto e la fruizione del prodotto.

 

Tantì sul suo triciclo accompagnato dal figlio, anni Trenta

 

Alcune nonne o mamme iper protettive (tra queste le mie) diffidavano per ragioni igieniche dell’acquisto itinerante, e poi mangiare per strada e “fuori pasto” non era considerata cosa dabbene né salutare; di conseguenza nella mia infanzia potei godere soltanto di straforo delle delizie di Tantì.

A Nizza Monferrato, oltre alle pizzerie e ai ristoranti che oggi la propongono quotidianamente, nelle occasioni di festa si apre in piazza Garibaldi un ciabot (rivisitazione stilizzata del casotto che nei vigneti espletava la funzione di deposito degli attrezzi e rifugio per i contadini) in cui squadre di volontari della proloco sfornano a ripetizione teglie su teglie di belecauda da vendere ai passanti che la consumano passeggiando sotto gli alberi del piazzale. In alcuni locali viene proposta in varianti alternative: con speck o cipolle nell’impasto, con gorgonzola fondente, tagliata a bacchette da intingere nel ketchup come se si trattasse di patatine fritte. Personalmente prediligo, e raccomando, la versione classica, al massimo arricchita da qualche ago di rosmarino e generosamente cosparsa di pepe macinato al momento. Tantì, nel frattempo, è diventato un marchio attivo su diversi fronti nella produzione della farinata. Esiste ovviamente una ricetta, all’apparenza semplice, per prepararla in casa ma sono, forse un po’ snobisticamente, convinto che non possa essere cucinata come si comanda in un forno domestico e che per gustarla in tutto il suo rovente splendore sia imprescindibile recarsi nei posti che ancora la servono appena sfornata (se riscaldata perde fragranza e muta consistenza), sottile, con la sua crosticina dorata in superficie e il cuore morbido e tenero. Così come per le vie del paese la offriva Tantì.

 

Per chi volesse cimentarsi nella sua preparazione queste sono le proporzioni raccomandate:

 

250 gr. di farina di ceci di ottima qualità e assoluta freschezza, 660 ml. di acqua, olio evo 50ml. circa, sale 10 gr. circa, pepe per condire a piacere

 

Mescolare la farina all’acqua incorporandola poco per volta onde evitare la formazione di grumi, aggiungere il sale e lasciar riposare per almeno quattro ore. Mescolare di tanto in tanto e rimuovere la schiuma che si dovesse formare in superficie. Ungere con abbondante olio evo il fondo di una teglia. Versare il composto mescolando fin tanto che l’olio verrà a galla. Lo spessore del composto deve essere inferiore al centimetro di altezza. Riscaldare il forno alla massima potenza (non sarà mai sufficiente nonostante gli sforzi) e cuocere per una ventina di minuti finché sulla sommità dell’impasto si sarà formata una crosticina croccante. Tagliare a fette e servire caldissima cospargendo di pepe macinato al momento.



 

Una teglia di farinata 

 

 

F. De André, Maria Giuana (canzone popolare piemontese): https://www.youtube.com/watch?v=56Alv921-b4  

Una classicissima canzone del repertorio piemontese da osteria (canson dla piola). Fabrizio De André aveva trascorso le estati della sua infanzia nella casa di una nonna nell’astigiano dove aveva imparato il dialetto piemontese e si era innamorato della cultura contadina.

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