Cose turche! Mangiare per strada a Istanbul
Istanbul
è una città dove, nonostante il considerevole afflusso turistico, il ricorso al
cibo di strada è ancora vissuto non soltanto come moda globalizzata ma, in
molte circostanze, come autentica risorsa per cittadini frettolosi che
necessitano di un sostegno gratificante nel corso dei loro cammini, che si
tratti di una banale quanto indispensabile bottiglia di acqua fresca durante le
calure estive o di una pannocchia di granoturco grigliata. Cominciamo
dall’articolo più gettonato in città: il simit. Nota anche come bagel
turco (essenzialmente per il suo aspetto esteriore) questa ciambella ricoperta
di semi di sesamo è un ingrediente classico delle prime colazioni, ma viene
consumata a ogni ora, come accompagnamento a un bicchiere di tè o semplicemente
sbocconcellata camminando, correndo, passeggiando o ancora come spuntino o
merenda assieme a un pezzo di formaggio. Da qualche tempo esiste una catena, simit
sarayi, che le produce e smercia su scala industriale. Meglio ricorrere
alle tradizionali panetterie o, ancora più adeguatamente, ai venditori
ambulanti. Fino a qualche tempo fa era consueto vedere in giro per le strade
uomini che portavano in testa una torre di simit. Non ne ho più
incontrati durante il mio ultimo soggiorno.
Venditore
di simit (Istanbul, Balat, 2017)
Lanciavano
il loro grido e dalle finestre le donne calavano il paniere con il denaro e lo
recuperavano colmo di ciambelle appena sfornate. Oggi è più frequente
incontrare carrettini istituzionali, con tanto di autorizzazione comunale, che
quasi a ogni angolo di strada, offrono la loro merce. Per esperienza ho
verificato che è meglio diffidare dei punti vendita che esibiscono grandi
quantità di simit. Non sempre il loro prodotto è di assoluta freschezza.
Meglio ricorrere a postazioni che smercino con abbondanza e garantiscano che
non si tratta di giacenze del giorno precedente.
Venditore
di simit a Eminönü
Venditore
di simit al mercato di Beşiktaş
Sono
venduti a bordo dei battelli per ingannare il tempo di navigazione (e spesso
condivisi con i gabbiani che afferrano al volo i bocconi lanciati in aria dai
passeggeri), tra i tavolini dei caffè, agli ingressi della metropolitana.
Ovunque! Costano 5 lire turche (30 centesimi di euro) e con il loro interno
soffice e la crosta croccante e aromatizzata dai semi di sesamo tostati sono
una delizia per il palato.
Gabbiani
e simit
Un
particolare che stupisce molto gli italiani, abituati a consumare le
caldarroste in autunno e a collegarle al clima nebbioso e freddo, è vedere che
a Istanbul sono vendute anche in piena estate sotto il solleone. I consueti
carrettini rossi comunali le propongono arrostite al momento e disposte con
grande regolarità, impeccabilmente sbucciate per tre quarti (in modo da
facilitarne l’apertura), in bella vista sul ripiano. Verranno poi impacchettate
in sacchetti di carta di diverse dimensioni a seconda della quantità che se ne
vuole acquistare. I prezzi sono esposti e calmierati, se il venditore è legale
e autorizzato.
Carrettino
di caldarroste e pannocchie grigliate
Incredibile
ma vero, anche con 30 gradi all’ombra risultano gradevolissime e fanno debita
concorrenza alle pannocchie di granoturco cotte nel latte e servite con burro e
sale (Süt Mısır) oppure arrostite che si affiancano a loro nel commercio
di strada. Anche queste popolarissime tra la popolazione e presenti ovunque in
città.
Carrettino
di pannocchie al latte e arrosto
Nella
centralissima zona in cui risiedevo (Osmanbey), sotto la mia finestra che dava
su una via silenziosa e tranquilla pur essendo a ridosso di una grande arteria,
passava più volte al giorno il carretto del robivecchi. In realtà, né
robivecchi, né straccivendolo, come avrei appurato. Lo scoprii un giorno quando
mi decisi a verificare a chi appartenesse il richiamo che evocava l’arcaico e
ormai dimenticato grido “arrotinooooooo” e realizzai un po’ stupito che si
trattava di un raccoglitore di frammenti di materiali ferrosi che trascinando a
mano il suo carretto invitava le donne a gettare dalla finestra quanto non
utilizzassero più. Ulteriore immagine di violento contrasto con la realtà
moderna e tecnologica che imperversava a pochi metri di distanza. Tanto quanto
le visioni di uomini sudati e sporchi che trascinavano carretti stracolmi di
cartoni o altri materiali. Tutto a mano, con immensa fatica, magari in salita e
sotto il sole in mezzo al traffico caotico. E ancora. La sera bambine zingare
cercano di vendere rose alle clienti dei ristoranti che hanno tavolini sulla
strada e vengono invariabilmente allontanate (pur con bei modi) dai
proprietari. Bambini laceri piazzano pacchetti di fazzoletti di carta in giro
per le strade e venditori improvvisati offrono bottigliette d’acqua gelata ai
semafori dove colonne di auto battono il tempo e strombazzano in nervosa fila.
Non mancano gli interventi sociali per venire incontro all’infanzia disagiata,
ma il problema resta scottante. Un’iniziativa, sempre legata alla
regolamentazione delle attività di strada, che ho gradito è l’organizzazione di
punti musicali all’interno dei corridoi nelle stazioni del metro (metro
muzik). La cosa toglierà un po’ di spontaneità al busker di turno,
ma è apprezzabile che venga loro riservata, a turni concordati, un’opportunità
di suonare in pubblico e raccogliere denaro.
Una postazione
musicale nel metro di Istanbul
Anche
tutto questo, compresi gli aspetti meno confortanti, rientra nel panorama delle
strade di Istanbul e non va ignorato. Torniamo agli alimenti. Infinite in città
sono le postazioni dove si può acquistare cibo da consumare continuando le
proprie camminate: döner kebab a non finire, kokoreç (intestini
di agnello da latte ripieni di frattaglie e grigliati su spiedini), dürüm
(wraps farciti di pollo, manzo, verdure o formaggio), börek
(pasta sfoglia ripiena di formaggio), lahmacun (vagamente simile alla
pizza o al Flammkuchen tedesco-alsaziano). Ma sono preparazioni che
hanno alle spalle negozi o ristoranti, pur con servizio da asporto, e non
rientrano strettamente nelle categorie che mi stanno a cuore. A differenza delle
midye dolma (le cozze ripiene di riso speziato e condite con uno schizzo
di limone) che si trovano soprattutto la sera nella zona di Taksim, offerte su
grandi vassoi da ragazzi spesso membri di famiglie di profughi siriani. La
freschezza e l’igiene dei prodotti non possono essere garantite e, vista la
delicatezza dell’articolo in questione, non mi sono mai azzardato ad
assaggiarlo nella sua versione itinerante.
Venditore
di cozze ripiene
Ai
moltissimi negozi di frutta e verdura si affiancano lungo le vie bancarelle
ambulanti spesso tematiche: una vende solo ciliegie, l’altra soltanto aglio e
così via. Lo smercio è costante e moltissimi acquirenti ne approfittano, sempre
in corsa frenetica.
Due
classici di strada del trafficatissimo snodo di Eminönü (bus, tram, automobili,
battelli, pedoni, turisti), sono il bicchiere di sottaceti misti (karişik
turşu) (ecco che ritornano) o del loro succo (turşu suyu) e il
panino col pesce (balik ekmek). Godibili entrambi e consumati senza
distinzione dai pescatori locali che affollano il ponte di Galata con le
proprie canne da pesca o dalla miriade di visitatori di ogni nazionalità che si
imbarcano per la sponda asiatica e il Bosforo o che raggiungono la Moschea
Nuova e il Bazar delle spezie. Peccato che intorno a questi cibi tradizionali
sia stata costruita da alcuni decenni un’aura di esotismo orientalistico.
Imbarcazioni stilizzate sul modello delle barche di quella che era stata
l’élite ottomana si affiancano attraccate a riva tra un gran sventolio di
bandiere turche e sfornano a quintali i suddetti cibi. Chiunque confermerà che
nel resto della città si trovano ristoranti di pesce (panini di pesce compresi)
infinitamente superiori a quelli che si susseguono lungo quel molo (anche se la
materia prima arriva dalla Scandinavia e da tempo non è più pescata nel
Bosforo) e che le verdure sottaceto si possono gustare in tante altre più
adeguate situazioni. Ma il fake ha un suo fascino e spesso vince
sull’autenticità. E coinvolge sia gli stranieri sia i turchi.
I
barconi “ottomani” attraccati a Eminönü
Quelli
relativi alle barche di Eminönü non sono certo gli unici esempi che si
potrebbero citare. In molti altri locali della città il ricorso a immagini che
stilizzano i trascorsi imperiali è ricorrente: dai gelatai abbigliati con gilet
ricamati e addirittura fez (proibito da Atatürk nel 1925) al ricorrente
epiteto sultan nella denominazione dei ristoranti o alle lusinghe di un
menu “autenticamente ottomano” con arredi che evocano esotismi da harem di
bassa lega.
Gelataio
che indossa gilet e fez in stile pseudo-ottomano
Non
credo sia fazioso vedere in queste soluzioni estetico-commerciali un riflesso
della situazione politica contemporanea. Stereotipate stilizzazioni dell’impero
si sovrappongono a immagini della prima repubblica e sortiscono un effetto
nostalgico che bene si combina con l’attuale istituzionalismo religioso e
autoritarismo nazionalistico. In altre parti della città, al contrario, in
caffè, ristoranti e negozi troneggiano grandi ritratti di Atatürk, come a voler
ribadire le scelte e le conquiste della laicità. Questo per quanto riguarda il
coinvolgimento politico-emotivo degli avventori turchi. Per gli stranieri il
discorso è diverso e la componente politica si riduce per lasciare spazio
all’esotismo.
Il
ritratto di Atatürk in un negozio di frutta
I
gelatai, abbigliamento a parte, si producono in uno spettacolo da prestigiatori
con la massa del gelato che fanno ruotare e ondeggiare artisticamente con il
bastone che usano per mantecarlo incantando e attirando gli spettatori,
soprattutto i bambini, con i quali giocano offrendo coni che vengono all’ultimo
momento sottratti e poi fatti ricomparire suscitando l’entusiasmo o la
delusione dei piccoli astanti. Il dondurma è il gusto caratteristico:
versione estiva del salep, bevanda invernale venduta a ogni angolo di
strada, spillata da bombati samovar, nei mesi freddi. Composto denso a base di
radice di orchidea dal sapore dolciastro, aggiunta a latte e panna.
Gradevolissima per riscaldarsi sotto un vento gelido, quanto la variante estiva
è rinfrescante sotto il solleone. E pazienza per il fez che, per altro,
è venduto in forma di gadget in ogni emporio, così come a Berlino si trovano
nei punti turistici strategici pseudo copricapi o cinture dell’armata rossa in
quantità industriali. Effetti della riduzione della storia a souvenir. I
turisti cadono volentieri in ogni parte del mondo nelle trappole del
pittoresco, del caratteristico da cartolina e raramente compiono lo sforzo di
interrogarsi sul perché delle cose e accettano a occhi chiusi il colorito
locale, anche se fasullo e artefatto. Non voglio demonizzare l’iconica
esperienza di mangiare un balik ekmek a Eminönü o di assistere in un
ristorante “tipico” al rito della rottura con la sciabola dell’orcio di coccio
in cui è stato cotto lo spezzatino della Cappadocia (testi kebab), ma
sottolineo semplicemente che sia opportuno essere consapevoli anche di quanto
si cela dietro un apparente innocente messa in scena gastronomica e che, girato
l’angolo, o attraversato il Corno d’oro o il mar di Marmara, gli stessi cibi
possano essere gustati in un’atmosfera più verace, a costi inferiori e con un
riscontro qualitativo superiore.
Gli
orci del testi kebab
Tornando
a Eminönü, distributori automatici di succo di barbabietola o di sottaceti
misti, montati su carretti pure in stile pseudo-orientale, dispensano la
salutare pozione, acidula, speziata e sapida con la quale innaffiare il panino
di sgombro grigliato, pomodoro e insalata da accompagnare magari con una
porzione di verdure sottaceto dal bel color rosa acceso.
La
stessa postazione di sottaceti a Eminönü, 2017 e 2022
(notare
il considerevole aumento dei prezzi: da 2,50 a 10 lire turche per un bicchiere
di sottaceti misti, da 1,50 a 5 per il succo di barbabietola, da 2,50 a 10 per
il şalgam)
Un
particolare curioso per chiudere il discorso. Avevo imparato durante i miei
soggiorni in Unione Sovietica che il liquido delle salamoie e dei sottaceti da
quelle parti era considerato portentoso contro le sbronze e aiutava il recupero
dopo una bevuta troppo solenne. Ho scoperto che anche in Turchia vale la stessa
convinzione. Addirittura il şalgam, succo di carote e barbabietola, è
servito e consumato assieme al raki nei ristoranti dove è legittimo il
consumo di alcolici per prevenire eventuali effetti devastanti.
Nelle
vie più densamente fornite di negozi, così come all’interno dei bazar, camerieri
recanti il classico vassoio tondo, con un manico che permette di reggerlo con
una sola mano pur colmo di bicchierini di tè, transitano in continuazione tra
una postazione e l’altra lasciando recipienti colmi di bevanda e ritirando
quelli vuoti. Il consumo è ininterrotto e la capacità di destreggiarsi con i
vassoi carichi tra la folla e le asperità del percorso è una vera e propria
arte.
Il
riposo di un venditore di dolci accanto ai suoi vassoi
Per
concludere, nulla di meglio che un caffè turco, preso al volo in uno dei
chioschi sparsi per la città dove lo cuociono sulla sabbia rovente o gustato
più comodamente in un bar, servito secondo la tradizione e accompagnato da un lokum
o da una ciotolina contenente marmellata o frutta candita e da un immancabile
bicchier d’acqua. Nessuna soluzione garantisce la lettura del futuro nei suoi
fondi, ma, gustato il caffè con la precauzione di non sorbirlo fino in fondo,
si potrà giocare a interpretare i ghirigori che il deposito ha lasciato sulla
tazzina dopo averla debitamente capovolta sul piattino. Buona fortuna!
Chiosco
di caffè turco su ruote
Giugno-luglio
2022
Le
fotografie, salvo diversa indicazione, sono mie.
Venditore di cozze
ripiene: http://www.lifeofadaventure.com/blog/the-street-food-of-istanbul-where-to-find-them-which-ones-to-try
Gelataio che indossa
gilet e fez: https://laughingsquid.com/turkish-ice-cream-vendor-subjects-his-customers-to-countless-tricks/
Il ritratto di Atatürk
in un negozio di frutta: https://www.theguardian.com/world/gallery/2018/oct/09/ataturk-turkey-photograph-ersoy-emin
Gli orci del testi
kebab: https://www.yummyadvisor.com/tr-tr-Istanbul/sr67qbw-Salute-Pub-Restaurant/men%C3%BCler/
Gabbiani e simit: https://istandist.com/ilhamini-dogadan-alan-adam-olay-seven/marti-kadikoy-simit/
BaBa
ZuLa, Bir Sana Bir de Bana (Uno per te e uno per me), 2020.
Gruppo che mescola tradizioni e strumenti orientali con musica elettronica e
suoni moderni. Dai tempi sciamanici alla contemporaneità. Indiscussi leader e
creatori della musica psichedelica turca: https://www.youtube.com/watch?v=ejyajnoPWEE
Credo che a questo punto sia opportuno chiudere con la
ricetta del simit. Di facile preparazione anche domestica e di grande
soddisfazione.
Ingredienti per sei simit
Per la pasta:
400 gr. di farina forte (manitoba)
½ bustina di lievito di birra disidratato
220 ml. di acqua tiepida
½ cucchiaino di sale
1 cucchiaio di zucchero
Per il rivestimento:
60 ml. di melassa di uva o di datteri (sostituibile con
miele o zucchero caramellato)
30 ml. di acqua
½ cucchiaio di farina
100 gr. di semi di sesamo tostati
Sciogliere il lievito in un bicchiere con l’acqua e lo
zucchero. Lasciar riposare per 5 minuti. Mescolare farina e sale in una ciotola
e aggiungere progressivamente l’acqua con il lievito. Impastare per circa 5
minuti. Lasciar lievitare per un’ora. Quando l’impasto sarà raddoppiato di
dimensioni sgonfiarlo e ricavarne sei panetti della stessa misura (circa 110
gr. l’uno). Sagomarli in forma di bastoncino della lunghezza di circa 45 cm. Attorcigliarli
su sé stessi per ottenere una treccia. Con le trecce formare degli anelli.
Mescolare acqua, melassa e farina in una ciotola, immergervi gli anelli di
pasta e poi passarli nei semi di sesamo tostati. Disporre su una teglia coperta
di carta da forno e lasciar lievitare per altri 45 minuti. Cuocerli in forno
preriscaldato e ventilato a 200 gradi per 10-15 minuti.
Simit
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