Ai mercati del mondo
…
Je suis alleé au marché
aux fleurs
Et j’ai acheté des
fleurs
Pour toi mon amour
…
J. Prevert, Pour toi mon amour
Non
so voi, ma personalmente sono un po’ stufo del dilagare dello street food
hipsterizzato. In molte parti del mondo sono fiorite occasioni e luoghi in cui
il consumo del cosiddetto cibo di (o da) strada imperversa e, tradendo la
propria autentica natura, si organizza addirittura al chiuso in ambienti
strutturati mimando grossolanamente la primigenia spontaneità e contribuendo ai
processi di globalizzazione e gentrificazione delle culture. Il mio discorso
non riguarda le realtà veritiere ancora rimaste operanti e fedeli alle
necessità che nei secoli le aveva viste nascere: nutrire passanti frettolosi
impegnati in altre attività, venire incontro a persone non dotate delle risorse
necessarie (denaro e tempo) per una sosta in un ristorante vero e proprio, promuovere
una creazione gastronomica sul territorio più autorevole per giudicarlo, la
strada con il suo pubblico occasionale e misto. Le mie obiezioni sono relative
a realtà relativamente recenti quali food courts all’interno di centri
commerciali o “mercati metropolitani” (il fenomeno è esploso nei grandi agglomerati
urbani) in cui, all’aperto o sotto un tetto, si allineano chioschi, furgoncini
(pardon, food trucks), container nei quali si accumulano preparazioni
internazionali offerte a un’umanità spesso distratta, non necessariamente motivata
dall’appetito, capricciosa, forse annoiata che si dà appuntamento sull’onda di
tamtam, segnalazioni sui social, mode. Per correttezza non si deve trascurare
il fatto che una grossa fetta di questa clientela è oggi costituita da
lavoratori di varia natura in pausa pranzo che, archiviate le veraci trattorie
di un tempo, sempre più spesso ricorrono a queste modalità in alternativa a seriali
mense aziendali, pretenziose e dispendiose hostarie o mesti fast food. In forma
di lunch boxes, versione moderna delle pur tristi ataviche schiscette, il
pilaf iraniano contende clienti alla paella valenciana, paste italianeggianti
sfidano sedicenti curry asiatici, mentre da wraps e tacos
debordano farciture, salse e aromi di mondi lontani ricreati per l’occasione. Si
lotta per un posto a sedere ai tavolini adiacenti (quando disponibili), su
panche o improvvisati sedili, per un punto d’appoggio su banconi o tavolacci,
ci si accontenta di uno spazio erboso o di una sedia a sdraio (se prevista
dall’organizzazione), più spesso si sta in piedi deambulando e rendendo
inconsapevole (talora infastidito) omaggio alla primigenia natura del fenomeno.
Cercando sempre di combinare l’irrinunciabile esigenza di comodità con lo
spirito della manifestazione, della circostanza forzata o del luogo in cui ci
si è venuti a trovare. Un numero sempre più alto di storici mercati (soprattutto
coperti) si è convertito, negli ultimi decenni, a queste modalità riducendo o
annullando del tutto il commercio di prodotti alimentari (intesi come materie
prime) e virando sul cibo pronto, porzionato, talora impacchettato o più spesso
servito al momento da grandi marmitte o padelloni, attirando un sempre
crescente numero di turisti che si accalcano, e rivaleggiano, con i fruitori
locali. Dal Borough Market londinese (a decine si contano gli altri
esempi nella capitale britannica), al Markthalle Neun di Berlino (anche in
quella città le occasioni parallele si moltiplicano a vista d’occhio),
attraverso il Time Out Market di Lisbona e il Marché des enfants
rouges a Parigi. Per citare soltanto alcuni tra i modelli più eclatanti delle
rutilanti metropoli europee.
Il
Borough Market di Londra
Vorrei
dedicare le pagine di questo blog ai mercati che sono rimasti fedeli alla
propria immagine, aprendo magari a qualche discreta postazione ristorativa, ma
senza perdere la connotazione di luogo in cui primariamente ci si rifornisce di
frutta, verdura, carne, pesce, formaggi, pane ed evitando che il territorio sia
trasformato in sagra paesana senza che ci sia un paese alle spalle. Inserirò,
tra una pubblicazione e l’altra, ricordi dedicati a figure di venditori
ambulanti di cibo del passato di cui ho avuto esperienza personale per
omaggiarne la memoria e contribuire a integrare la microstoria che li riguarda.
Ovviamente tratterò soltanto dei mercati e dei personaggi che ho avuto occasione di visitare e conoscere in
prima persona.
Una
delle ragioni per cui quando viaggio tendo a privilegiare il soggiorno in
appartamenti rispetto a quello in hotel è proprio perché la situazione mi
permette di accedere ai mercati delle varie città in veste di acquirente e non
soltanto di spettatore. Innegabile resta in ogni caso la fascinazione di
giocare al flâneur che durante le sue deambulazioni nei passages
parigini concentrava nella peculiare combinazione di passo e sguardo ogni
attività e lasciava al comune mortale il banale compito di procedere agli
acquisti o consumare la merce. Volendo affrancarsi da arcaiche figure blasé
e penetrare con maggior realismo nel tessuto metropolitano di turno nulla di
meglio che dover fare davvero la spesa fianco a fianco con i residenti, convincendosi
che l’operazione possa contribuire a distinguersi dalla massa informe di
turisti che in altre zone della città avanza implacabile inseguendo
l’ombrellino di una guida tra ammassi di souvenir paccottiglia. Parecchi
decenni fa, al mio debutto a Parigi, avevo ceduto allo stereotipo e non
passeggiavo per la città senza una baguette sotto braccio, quale che
fosse il suo destino finale. Quanti parigini sarò riuscito a persuadere oltre che
a lusingare me stesso?
Paris
Match, 1960 (P.S. Non sono io, eh! 😉)
Alla
fine di ogni post inserirò una ricetta e il link a una canzone legate ai luoghi, alle
persone o alle esperienze di cui ho trattato. Pubblicherò un pezzo ogni settimana
fino all’esaurimento dei materiali. Prevedo di continuare a viaggiare e aggiornare
costantemente i materiali.
Le fotografie, salvo
diversa indicazione, sono mie.
Paris Match 1960: https://www.pinterest.es/pin/606297168581209806/
J. Prevert, Pour
toi, mon amour, 1946:
https://www.youtube.com/watch?v=n1p4gMD5mw8
Non una canzone in
questo caso ma la poesia di Prevert che dà l’esergo a queste pagine.
e io prevedo di seguirti col solito affetto e la solita affamata curiosità! grazie!
RispondiEliminaGrazie a te! Che piacere! Abbraccione
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